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«quei poveretti hanno ragione di prendersela con te, figlio mio; se tu non lasciavi la baracca i malfattori non prendevano il sacco. Diamo dunque i denari!» Ma mio padre diceva: «Se noi diamo i denari è come confessare che Cáralu è colpevole. Lo sei o no?» Io dicevo: no e no! Finalmente, non potendone più, me ne andai via di nuovo. Non tornerò più al mio paese: è un luogo d’inferno. Adesso son qui, ci sto bene, son tranquillo, rispettato, ho un buon impiego, se volessi sposerei la prima ragazza del paese.... Che voglio di più?

La donna ascoltava pallida immobile, fissandolo coi suoi melanconici occhioni da schiava. No, egli non mentiva.... Solo, ella non sapeva ancora precisamente quale fosse il buon impiego di lui. Egli usciva alla mattina di buon’ora, ritornava a mezzogiorno, usciva ancora, ritornava la sera tardi e spesso passava la notte fuori di casa. Mangiava una sola volta al giorno, era parco, non beveva. Sabéra, che era stata lunghi anni serva d’un vecchio ex-maresciallo e da lui aveva ereditato la casetta e i mobili, procurava di rendere meno triste il volontario esilio del suo giovane pigionale. Gli stirava le camicie e i vestiti, ogni sera lo aspettava seduta sullo scalino della porta, senza degnarsi di rispondere agli scherzi e alle grossolane allusioni dei suoi vicini di casa. Tre di questi, il maestro di legno1, il maestro di ferro2 e il maestro di

  1. Falegname.
  2. Fabbro.