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122 padrona e servi


tana che parve spegner la luna: tutto diventò nero finchè in lontananza non apparve la collina con qualche punto rossastro in fondo. Il pastore affrettò il passo, trascinando la sua stanchezza e i suoi sospetti come trascinava le giovenche malate o riottose. Fu davanti al cortile recinto di fichi d’India; la casa era nera, ma sopra il tetto basso della cucina si spandeva un chiarore giallastro. Egli si levò gli scarponi, ripiegò le ghette e s’arrampicò sui tronchi che sostenevano la legnaia, come quando si arrampicava sulle quercie per tagliare fronde da dare al bestiame. Il vento soffiava con rabbia, spazzando il fumo dal tetto; era una notte di amanti e di ladri, e come un ladro il servo potè protendersi sul tetto fino al buco sopra il focolare.

Attraverso un velo di fumo vide sotto di sè la macchia rossa del fuoco, e la padrona e il giovine servo seduti accanto al focolare. La donna non filava; come una regina ai piedi del trono, stava seduta su uno sgabellino ai piedi della scranna alta, e su questa la conocchia e il fuso parevano coricati una accanto all’altro come due sposi. Il servo ridacchiava e guardava fisso la donna coi suoi occhi felini, raccontandole a modo suo la scena dell’ovile.

— Il vecchio sembrava un verre, tanto era arrabbiato.... Io gli dicevo: come non si può amare quella donna al solo vederla? Al solo conoscere la sua virtù? Ho fatto male a dire così?