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padrona e servi 121


i grappoli enormi delle roccie, i cespugli, tutto si copriva di un velo nero dorato e tutto prendeva un aspetto fantastico. Le quercie oblique sulle rupi pareva si fossero fermate lì sorprese dalla notte mentre tentavano di raggiungere, una dopo l’altra, le vette; e un mistero d’ombra, di abissi, di pericoli ignoti si nascondeva in fondo alle chine boscose, dietro ogni roccia. Ma fin dove arrivava il chiarore glauco e dorato del crepuscolo regnava una pace infinita, e le voci della tanca salivano flebili armoniose: il tintinnio delle greggie che si raccoglievano nelle mandrie, si fondeva col canto degli ultimi grilli, coi latrati dei cani, col ronzio d’un insetto ancora sveglio, col pigolio lieve degli uccelli che par si salutino d’albero in albero prima di addormentarsi.

A un tratto il vecchio pastore si alzò e disse al compagno:

— Vado: bisogna andare.

E va e va, nella sera chiara, attraverso le tancas nere e argentee sotto il cielo azzurro e argenteo d’autunno. Una passione equivoca lo spingeva; amore verso la padrona, odio contro il servo perverso; ma anche qualcosa che egli non riusciva e definire, un malessere strano simile a quello che aveva provato una volta dopo il morso di una vipera. Nel suo vecchio cuore passavano le ombre e i chiaroscuri misteriosi che la sera d’autunno stendeva sulle tancas solitarie.

Ma a un tratto soffiò il vento di tramon-