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cina, con le serve ed i gatti; del che non si lamentava perchè gli pareva che a tavola, coi signori, non avrebbe potuto aprir bocca per la soggezione e per la gioia.
Dopo il pranzo Margherita usciva in cucina e s’intratteneva con lui, per lo più chiedendogli informazioni sulle persone che frequentavano il molino; poi lo conduceva di qua e di là, nel cortile, nei granai, in cantina, compiacendosi quando egli esclamava col fare di Bustianeddu: «eh, diavolo, quanta roba avete!» ma non si abbassava mai a giocare con lui.
Gli anni passarono.
Dopo la maestrina dai baffi venne la volta del maestro che pareva un gallo; poi d’un vecchio maestro tabaccone che additando l’isola di Spitzberg diceva piangendo: «qui fu imprigionato Silvio Pellico»; poi di un piccolo maestro dalla testa rotonda, pallido, molto allegro, che si suicidò. Tutti gli scolari rimasero morbosamente impressionati dal fatto doloroso; per molto tempo non pensarono e non parlarono d’altro, ed Anania, che non sapeva persuadersi come il maestro si fosse potuto uccidere mentre era un uomo allegro, dichiarò in piena scuola che era pronto a suicidarsi alla prima occasione.
Fortunatamente l’occasione mancava; egli in quel tempo non aveva dispiaceri; era sano, amato dai suoi, sempre primo nella scuola. Intorno a lui la vita si svolgeva sempre eguale, con le stesse figure ed i medesimi avvenimenti,