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— Oh, vieni! — rispose la vocina.
In quel momento rientrò la serva, che non avendo potuto raggiungere Bustianeddu prese a spintoni il piccolo Anania. Allora la bimba che aveva detto «vieni» balzò fuori e difese il figlio del mugnaio.
— Lascialo: che ti ha fatto? — disse, tirando la sottana alla serva. — Dagli subito il brodo.
Subito! Questa protezione, quel tono da padrona, quella figurina grassa e rossa, vestita di flanellina turchina, quel nasetto prepotente rivolto all’insù fra due guancie molto paffute, quei due occhi scintillanti alla luna, fra due bende ricciolute di capelli rossicci, piacquero immensamente ad Anania. Egli conosceva già la figlia del padrone, Margherita Carboni, come la chiamavano tutti i bimbi che frequentavano il molino; qualche volta ella gli aveva dato i lucignoli ed anche l’orzo per il cavallo, e quasi tutti i giorni egli la vedeva nell’orto ed a intervalli anche nel molino, dove essa si recava con suo padre; ma mai s’era immaginato che quella signorina grassa e rossa e dall’aria superba fosse così affabile e buona.
Mentre la serva entrava in cucina per prendere il brodo, Margherita domandò ad Anania qualche particolare sulla malattia di Efes Cau.
— Egli oggi ha mangiato qui, in questo cortile, — ella disse con serietà. — Pareva sano.
— È un male che viene agli ubriaconi, — spiegò Anania. — Si contorceva come un gatto....