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tana, ed Anania vi si recava spesso per farsi dare la prebenda del cavallo, i lucignoli per la candela del molino, e per altre commissioni.

Le strade erano qua e là illuminate dalla luna; gruppi di paesani passavano cantando un coro melanconico ed appassionato. Davanti alla casa bianca del signor Carboni si stendeva un cortile quadrato recinto d’alti muri e con un grande portone rosso. I due ragazzetti dovettero picchiar forte per farsi aprire; ed Anania porse la scodella, esponendo il caso di Efes Cau alla domestica che dischiuse il portone.

— Non sarà per voi, il brodo, eh? — sogghignò la serva, squadrando sospettosa i due amici.

— Va al diavolo, Maria Iscorronca1, noi non abbiamo bisogno di brodo, — gridò Bustianeddu.

— Animaletto, ora ti pago gli insulti, — disse la serva, rincorrendolo per la strada. Ma egli fuggì, mentre Anania penetrava nel cortile illuminato dalla luna.

— Chi è: cosa vogliono? — chiedeva una vocina sottile, dall’ombra di una tettoia sotto cui aprivasi la porta della cucina.

— Sono io! — gridò Anania, avanzandosi, con la scodella fra le mani. — Efes Cau è malato, nel molino, e mia madre prega la signora padrona che dia un po’ di brodo al disgraziato.

  1. Nomignolo spregiativo, che equivale a strega od a qualcosa di simile.