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Intanto Efes, seduto sul sacco, piangeva ricordando la madre e la ricca casa paterna e invano il Carchide cercava di consolarlo offrendogli il bicchiere. No, neppure il vino poteva lenire il dolore di quei ricordi. Tuttavia egli prese il bicchiere e bevette piangendo.
Il ricco contadino ed il padre di Bustianeddu, giovine olivastro con gli occhi turchini e la barba rossa, congiuravano per far ubriacare Nanna onde ella dicesse ciò che sapeva sul conto di zio Pera; e intanto l’ortolano gridava contro i due uomini che spingevano la spranga perchè, secondo lui, essi non spiegavano abbastanza le loro forze.
— Che una palla vi trapassi il fegato; conservatevi bene, ragazzi, — diceva con ironia. — Come sono poltroni i giovani d’oggi!
— Provate un po’ a mettervi qui, voi, al posto delle olive, per sentire la nostra forza.
— Che una palla vi trapassi la milza, che una palla vi trapassi il calcagno, — continuava ad imprecare zio Pera.
— Bene! — esclamò Maestro Pane, il vecchio falegname gobbo, che aveva un solo baffo grigio sulla gran bocca sdentata; — poi egli andò e mise il chiodo sotto.
Seduto contro il muro sotto il finestruolo, egli si batteva di tanto in tanto i pugni sulle ginocchia, ma nessuno badava a lui, che usava parlare fra sè ad alta voce.
— Nanna, — disse il contadino, — ora si porta la cena da casa mia. Resta.