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vicinato. Bustianeddu aveva quasi la stessa età di Zuanne, l’amico perduto, e in fondo era generoso e ardente. Andava o diceva d’andare a scuola, ma spesso il maestro scriveva un bigliettino al padre per chiedere notizie dell’invisibile scolaro: allora il genitore, che era un piccolo negoziante di lana e di pelli, legava il bimbo con una corda di pelo e lo chiudeva in una stanza, imponendogli di studiare. Come i delinquenti dal carcere, Bustianeddu usciva da questa specie di prigionia più astuto e indurito di prima. Solo durante le lunghe e frequenti assenze del padre, egli, solo in casa, diventava serio: pareva sentisse la responsabilità della sua posizione; guardava la casa, scopava, preparava da mangiare, lavava la biancheria. Spesso Anania lo aiutava di gran cuore; in cambio Bustianeddu gli dava qualche consiglio e gli insegnava molte cose buone e moltissime cattive. Passavano buona parte delle giornate e delle lunghe sere fredde nel molino, ove Anania grande, — come lo chiamavano per distinguerlo dal figlio, — lavorava per conto del ricco signor Daniele Carboni, al quale il frantoio apparteneva.
Il mugnaio, — che secondo le stagioni si trasformava in contadino, in ortolano, in vignaiuolo, — dava al signor Carboni il rispettoso titolo di padrone perchè lo serviva da lunghi anni, ma in realtà il suo lavoro era molto indipendente, ben rimunerato e non privo di incerti.