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pure egli non la amava: non la amava perchè da lei aveva sempre ricevuto più busse che carezze, e l'affronto dell’abbandono, di cui sentiva istintivamente tutta la vergogna; ma non amava neppure suo padre, quell’uomo oleoso che, nei primi istanti dell’abbandono, lo aveva accolto con odio e quindi gli aveva destato un senso di terrore e di repugnanza; quell’uomo infine che lo baciava in segreto e davanti alla gente lo maltrattava e lo umiliava continuamente.

Zia Tatàna, però, lo proteggeva e lo amava, ed egli a poco a poco le si affezionò: ella lo lavava, lo pettinava, lo vestiva, gli insegnava le preghiere e i precetti del re Salomone, lo conduceva in chiesa, lo faceva dormire con lei, gli dava cose buone da mangiare. In poco tempo egli si trasformò, ingrassò e diventò addirittura un signore, abbandonando il rozzo costume fonnese per un abituccio di fustagno scuro. Inoltre cominciò a parlar nuorese e ad assumere i modi spigliati di Bustianeddu.

Ma il suo cuoricino non cambiava, non poteva cambiare. Strani sogni di fughe, di avventure, di avvenimenti straordinari si confondevano, nella piccola anima, con l’istintiva nostalgia per il luogo natio, per le persone e le cose perdute; col desiderio della libertà selvaggia fino allora goduta, ed infine col sentimento arcano di pietà e di vergogna, col pensiero costante, col segreto anelito per la madre lontana.