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re qualche confidenza al piccolo abbandonato.
— Mio padre ha cento lire nel cassetto del canterano, ed io so dove è la chiave. Noi abitiamo qui vicino, e abbiamo un podere per il quale paghiamo trenta lire di imposta: ma l’altra volta venne il commissario e sequestrò l’orzo. Cosa c’è qui, dentro il tegame, che fa cra-cra-cra? Ti pare che prenda fumo? — sollevò il coperchio e guardò. — Diavolo, ci son patate. Credevo fosse altro. Ora assaggio.
Con due ditine prese una fetta bollente, ci soffiò sopra più volte, se la mangiò; ne prese un’altra....
— Che cosa fai? — disse Anania, con un po’ di dispetto. — Se viene quella donna!...
— Noi sappiamo fare i maccheroni, io e mio padre, — riprese imperturbato Bustianeddu. — Tu li sai fare? E il sugo?
— Io no, — disse Anania, melanconico.
Pensava sempre a sua madre, assediato da tristi domande. Dove era andata? Perchè non era entrata nel molino? Perchè lo aveva abbandonato e dimenticato? Adesso che aveva mangiato e sentiva caldo, egli aveva voglia di piangere ancora, di fuggire. Fuggire! Cercar sua madre! Questa idea lo afferrò tutto e non lo lasciò più.
Poco dopo rientrò zia Tatàna, seguita da una donna lacera, barcollante, che aveva un gran naso rosso ed una enorme bocca livida dal labbro inferiore penzolante.