Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/46


— 40 —

non indagò oltre, tanto più che aveva sonno.

Chinò la testina sul grembo della madre e chiuse gli occhi.

— Chi c’è ora nella cantoniera? — chiese ad un tratto Olì. — Mio padre non c’è più?

— Non c’è più.

Ella diede un profondo sospiro: la vettura si fermò un momento, poi riprese la sua corsa, ed Anania finì di addormentarsi.

A Nuoro egli provò una forte delusione. Era questa la città? Sì, le case erano più grandi di quelle di Fonni, ma non tanto come egli s’era immaginato: le montagne poi, cupe sul cielo violaceo del freddo tramonto, erano addirittura piccole, quasi da far ridere. Inoltre i bambini che s’incontravano per le strade, — le quali, a dire il vero, gli parevano molto larghe, — lo impressionavano stranamente perchè vestivano e parlavano in modo diverso dai bambini fonnesi.

Madre e figlio girovagarono per Nuoro fino al cader della sera, ed infine entrarono in una chiesa. C’era molta gente; l’altare ardeva di ceri, un canto dolce s’univa ad un suono ancor più dolce che veniva non si sa da dove. Ah, ciò parve veramente bello ad Anania, che pensava a Zuanne ed al piacere di narrargli quanto ora vedeva.

Olì gli disse all’orecchio: — Vado a vedere se c’è l’amica presso cui andremo a dormire; non muoverti di qui finché non torno io....

Egli rimase solo in fondo alla chiesa; sentiva