Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu/32


— 26 —

continuamente un umore salato che egli non esitava a leccarsi, od a spandere con la manina sporca, di qua e di là dal naso, formandosi in tal modo due baffi di crosta d’una materia indefinibile.

Mentre le capre pascolavano nei dintorni montuosi del paese, fra i cespugli aromatici e le roccie verdi di caprifoglio, i due bambini girovagavano, scendevano verso la strada per lanciare sassolini a chi passava, penetravano nelle piantagioni di patate, dove lavoravano le donne solerti, cercavano all’ombra umida dei noci giganteschi qualche frutto sbattuto dal vento. Zuanne era alto e svelto, Anania più forte e più ardito. Entrambi bugiardi di una forza unica e agitati da fantasie barbare, Zuanne parlava sempre di suo padre, lodandolo e proponendosi di seguirne l’esempio e di vendicarne la memoria, e Anania voleva diventar soldato.

— Io t’arresterò, — diceva tranquillamente; e Zuanne rispondeva con ardore: — ed io t’ammazzerò.

Quindi giocavano spesso ai banditi, armati di fucili di canna. Avevano certo uno sfondo adatto, ed Anania non riusciva mai a scovare il bandito, sebbene Zuanne, dalla macchia dove si celava, imitasse la voce del cuculo. Un cuculo vero rispondeva in lontananza, e spesso i due bambini, smessi i feroci propositi, s’avviavano in cerca del melanconico uccello; ricerca non meno infruttuosa di quella del bandito. Quando sembrava loro di esser vicini al covo