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— Avete qualche carta?
— Cosa?
— Qualche carta, spiegò zia Grathia. — Sì, la fede di nascita?
— Sì, la fede di nascita, — ella rispose toccandosi il petto. — L’ho qui.
— Fate vedere.
Ella trasse una carta gialliccia, macchiata d’olio e di sudore, mentre Anania ripensava amaramente alle ricerche e alle indagini fatte per scoprire se Maria Obinu possedeva carte rivelatrici.
Zia Grathia prese la carta e gliela diede; egli la svolse, la lesse, la restituì.
— Perchè ve la siete procurata? — domandò.
— Per sposarmi con Celestino....
— Il cieco, — spiegò la vedova, e aggiunse borbottando: — quell’immondezza vile.
Anania tacque, e continuò a camminare su e giù per la cucina: il vento sibilava incessantemente intorno alla casetta; dalle fessure del tetto piovevano alcune striscie di sole che disegnavano fantastiche monete d’oro sul pavimento nero. Anania camminava divertendosi automaticamente a mettere i piedi su quelle monete, come usava una volta, da bambino: si domandava che cosa gli restava da fare e gli sembrava d’aver già esaurito una parte del suo grave compito.
— Io ora chiamerò di là zia Grathia, — pensava, — e le consegnerò i danari perchè le compri le vesti e le scarpe e le dia da mangiare,