Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 270 — |
E gli sembrò che il vento gli portasse via il cuore, sbattendolo contro i colossi granitici del Gennargentu.
•
Al ritorno egli credeva di trovare sua madre presso la vedova, e ansiosamente, dopo aver lasciato il cavallo presso la guida, attraversò il paese deserto e si fermò davanti alla porticina nera di zia Grathia. La sera scendeva triste, un vento gagliardo soffiava per le straducole erte, rocciose: il cielo era pallido: pareva d’autunno. Anania, fermo davanti alla porticina, ascoltava. Silenzio. Attraverso le fessure scorgevasi il chiarore rosso del fuoco. Silenzio.
Anania entrò e vide soltanto la vecchia, che filava seduta sul solito sgabello, tranquilla come uno spettro. Sulle brage gorgogliava la caffettiera, e da un pezzo di carne di pecora, infilato in uno spiedo di legno, sgocciolava il grasso sulla cenere ardente.
E dunque?... Nonna, dunque?
— Pazienza, gioiello d’oro! Non ho trovato una persona fidata che potesse andare laggiù. Mio figlio non è in paese.
— Ma il carrozziere?
— Pazienza, ti ho detto, oh! — esclamò la vedova, alzandosi e deponendo il fuso sullo sgabello. — Ho pregato appunto il carrozziere di dirle che venga assolutamente, domani Gli dissi: