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Pochi momenti prima della partenza zia Varvara gli consegnò un piccolo cero, perchè lo offrisse per lei alla Basilica dei Martiri, a Fonni, e Maria gli diede una medaglia benedetta dal pontefice.
— Se lei non la vuole, miscredente, la porti alla sua mamma, — gli disse, sorridendo, un po’ commossa. — Addio, dunque, e buon viaggio e buon ritorno. Si ricordi che la camera resta a sua disposizione. E faccia da bravo, e mi scriva subito una cartolina.
— Arrivederci! — egli gridò dal basso della scala, mentre Maria, curva sulla ringhiera, lo salutava ancora con la mano.
— Figlio del cuoricino mio, — disse zia Varvara, accompagnandolo fino alla porta, — saluta per me la prima persona che incontri in terra sarda. E buon viaggio e ricordati del cero.
Lo baciò lievemente sulla guancia, piangendo, ed egli fu tentato di risalire le scale per vedere se anche Maria Obinu piangeva: poi sorrise della sua idea, abbracciò zia Varvara, chiedendole scusa se qualche volta l’aveva fatta stizzire, e si allontanò.
Tutto sparve; la vecchia che piangeva il suo esilio dalla patria diletta, la strada melanconica, la piazza in quell’ora deserta e ardente, il Pantheon triste come una tomba ciclopica; e Anania, col viso accarezzato dal vento di ponente, provò un senso di sollievo, come svegliandosi da un incubo.