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— Per questi quindici giorni le darò la mia camera, — disse finalmente la Obinu, cedendo alle insistenze di lui, ed egli accettò.
La cameretta pareva la cella d’una monaca; il lettino candido, odorante di spigo, ricordava i semplici giacigli di certe patriarcali abitazioni sarde. E come in quelle abitazioni, Maria Obinu aveva appeso lungo le pareti grigie della sua camera una fila di quadretti e di immagini sacre; tre ceri, poi, e tre crocefissi, un ramo d’olivo e un rosario che pareva di confetti, pendevano in capo al letto; in un angolo ardeva una lampadina davanti ad una immagine dove le Sante Anime del Purgatorio, tinte di livido da un lapis turchino, pregavano tra fiamme insanguinate da un lapis rosso.
Anania prese possesso della camera, e ben presto fu riassalito dai suoi dubbi.
Perchè la Obinu gli cedeva la sua camera? perchè si mostrava così premurosa con lui?
Mentre egli metteva a posto i suoi libri, Maria bussò e, senza avanzare, gli domandò se desiderava che la lampadina delle «Sante Anime» venisse spenta.
— No, — egli rispose con voce forte, — venga avanti, anzi, che le faccio vedere una cosa.
Ella entrò, pallida, sorridente; pareva avesse sempre conosciuto il suo inquilino e gli volesse bene.
Egli teneva fra le mani uno strano oggetto, un sacchettino di stoffa unta, attaccato ad una