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— Sembra che tutto l’oro racchiuso nella Banca brilli attraverso le finestre, — disse Anania.
— Ma bbraaavooo! Si vede che la mia compagnia ti dirozza.
— Sono più che mai romantico stassera. Andiamo al Colosseo!
Andarono, si aggirarono a lungo nel divino mistero del luogo, guardando la luna attraverso ogni arco; poi sedettero su una colonna lucente e sospirarono entrambi.
— Io sento una gioia simile al dolore, — disse Anania.
Il Daga non rispose, ma dopo un lungo silenzio disse: — Mi sembra d’essere nella luna. Non ti pare che nella luna si debba provare ciò che si prova qui, in questo gran mondo morto?
— Sì, — disse Anania, con voce flebile. — Questa è Roma.
Al ritorno passarono ancora per Via Nazionale. Chiacchieravano in dialetto. Era tardi, e su e giù, attraverso i marciapiedi quasi deserti vagavano molte farfalle notturne, così le chiamava il Daga. A un tratto una di esse passò accanto a loro e li salutò in dialetto sardo.
— Bonas lardas, pizzoccheddos!
Era alta, bruna, con grandi occhi cerchiati: la luce elettrica dava al suo piccolo viso, emergente dal collo di pelo d’un soprabito chiaro, un pallore cadaverico.
Come a Cagliari, la sera in cui Rosa e la