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arredato con un solo tavolino rotondo e mezza dozzina di sedie di Vienna.
La fida Ermenegilda, uno studentino dal viso tinto con carta rossa, indossava un largo vestito da camera della signora Carboni; seduta presso il balcone, con le gambe accavalcate indecentemente, ricamava una sciarpa per il non meno fido Goffredo, guerriero lontano.
— Ora si punge le dita, — mormorò Anania, chinandosi verso Margherita.
Ella si chinò a sua volta, portando il fazzoletto alla bocca per soffocare una risata.
Il capitano dei carabinieri, seduto accanto a lei, volse lentamente il capo, dando un bieco sguardo allo studente. Ma Anania si sentiva tanto felice, aveva una pazza voglia di ridere e voleva comunicare a Margherita tutta la gioia che la vicinanza di lei gli destava.
Nel secondo atto il conte Manfredo, padre di Ermenegilda, voleva costringere la fanciulla ad obliare Goffredo e sposare un ricco barone di Castelfiorito.
— «Padre mio! — diceva la donzella, aprendo le gambe in modo sguaiato. — A che mi vuoi tu costringere? Mentre il prode Goffredo langue forse in una prigione orrenda, tormentato dalla fame, dalla sete e da....»
— ....dagli insetti, — mormorò Anania, chinandosi nuovamente verso Margherita.
Il capitano si volse di botto e disse con disprezzo:
— La finisca, dunque!