Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 113 — |
terruppe Anania, che non badava all’espressione del volto di Zuanne.
— Lo farà mio fratello. Io....
Tacque. Entrarono nella bettola. Un nugolo di mosche ronzava attorno ad una fanciulla bruna e bella, ma spettinata e sucida, seduta al banco.
— Buon giorno, Agata; come hai passato la notte?
Ella si alzò e si rivolse ad Anania con triviale famigliarità.
— Che vuoi, bello?
— Che vuoi? — ripetè egli a Zuanne.
— Quello che vuoi tu, — disse impacciato il pastorello.
La fanciulla si mise a rifare la voce e l’atteggiamento di Zuanne.
— Quello che vuoi tu.... E tu cosa vuoi, agnellino mio?
Guardò sfacciatamente Anania, ed anche Anania la guardò. Dopo tutto egli non era un santo; ma si avvide che Zuanne arrossiva e chinava gli occhi, e quando uscirono si sentì chiedere timidamente: — Anche quella è tua innamorata?
— Perchè? — egli domandò un po’ irritato, un po’ allegro. — Perchè mi guardava? Oh, bella, a che servono gli occhi? Ti farai frate, tu?
— Sì, — rispose l’altro semplicemente.
— E va a farti frate! — esclamò Anania, ridendo. — E adesso andiamo a vedere il Camposanto: così staremo allegri.