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una striscia di calce che terminava in una croce.
Sotto la porta c’erano quattro scalini, e spesso la donna, che era alta e bella, sebbene non più giovanissima e molto bruna di viso, stava seduta sugli scalini, cucendo o ricamando una camicia paesana. In estate rimaneva a testa nuda, coi capelli nerissimi rialzati un po’ a ciuffo sulla breve fronte, e teneva un fazzolettino di seta grigia intorno al lungo collo.
Anania arrossiva ogni volta che la vedeva; provava una morbosa simpatia per lei, e nello stesso tempo gli pareva di odiarla. Avrebbe voluto cambiar strada per non vederla, ma una forza occulta e maligna lo attirava sempre in quella via.
VI.
Erano le vacanze pasquali.
Un giorno, mentre Anania studiava la grammatica greca, passeggiando in un piccolo viale solcato tra il verde cinereo d’una distesa di cardi, udì picchiare al cancello.
Nell’orto c’era anche il mugnaio, che zappava canticchiando una poesia amorosa del poeta Luca Cubeddu; Nanna estirpava male erbe, aiutata da zio Pera; ed Efes Cau, naturalmente ubriaco, stava coricato sull’erba.
Faceva quasi caldo; nuvolette rosee correvano