Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 96 — |
Il mugnaio raschiò e tossì a sua volta, e avrebbe voluto che Anania non udisse le parole sacrileghe dell’ortolano, ma anche lui non potè contenersi, e cominciò ad inveire contro zio Pera.
— Schifoso, maligno, topo morto, che modo di parlare è il vostro?
— E che le cose non si sanno? — ripetè il vecchio, prendendo il randello in mano, come per difendersi da un possibile attacco. — Il bambino che lavora nella bottega di Franziscu Carchide è forse figlio di Gesù Cristo? Ebbene, perchè il padrone non fa studiare quel bambino, che è suo?
— È il figlio d’un prete, — disse il mugnaio, abbassando la voce.
— Non è vero. È del padrone. Osservalo; è tal e quale a Margarita.
— Ecco, — rispose il mugnaio completamente disarmato, — quel bambino è cattivo come il diavolo: non si può far studiare. Si può combattere contro le pietre?
— Ah, bene! — mormorò Zio Pera, ripreso da un attacco di tosse.
Anania stette ancora alla finestra, sputando sul mucchio di sanse, oppresso da una misteriosa tristezza. Egli conosceva il ragazzetto che lavorava presso il Carchide, e sapeva che era discolo, ma non più di Bustianeddu e d’altri ragazzi che frequentavano la scuola. Perchè il signor Carboni non lo prendeva in casa sua, se era suo figlio, come lui era stato preso dal