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provvide di polenta e d’olio tutto il vicinato.

Tutti ricorrevano a lui per piccoli prestiti che non venivano mai restituiti: qua e là per tutte le stradette dove il vento portava foglie, paglia e immondezze, egli incontrava bambini e ragazzi che lo chiamavano «padrino» e donne ed uomini che lo chiamavano «compare»; oramai non ricordava più il numero dei suoi figliocci, e zio Pera affermava malignamente che non poche persone si fingevano compari e comari del padrone per carpirgli danari.

— Eppoi molti sperano che egli aiuti negli studi i loro figliuoli! — disse un giorno il vecchio ortolano, seduto davanti al forno del frantoio, col randello sulle ginocchia.

— Eh, qualcuno ne aiuterà bene! — osservò il mugnaio, con evidente compiacenza, guardando Anania che stava affacciato alla finestra.

— Non più d’uno! Il padrone è un po’ vano, ma non si rovina, poi!

— Che dite voi, vecchia cavalletta! — esclamò il mugnaio, adirandosi. — Come il diavolo, voi, più invecchiate, più diventate maligno.

— Andiamo! — riprese il vecchio raschiando e tossendo. — E le cose forse non si sanno?

Ebbene, solo i cani riescono a nascondere le loro immondezze. Perchè il padrone non fa studiare i suoi bastardi?

Anania, che guardava alla finestra, sotto la quale odorava un mucchio di sanse fumanti, sentì un fremito di dolore, come se qualcuno l’avesse percosso.