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— un giorno simile all’altro, un anno simile all’altro, — come la stoffa a disegni eguali che il mercante svolge dall’interminabile pezza.

D’inverno convenivano nel frantoio sempre le stesse persone, gli stessi tipi, e si rinnovavano le stesse scene.

In primavera il sambuco fioriva nel cortiletto, le mosche e le api ronzavano nell’aria luminosa; nelle strade e nelle case si delincavano sempre le stesse figure; zio Barchitta il pazzo, con gli occhi azzurri fissi e la barba ed i capelli lunghi, simile ad un vecchio Gesù mendicante, continuava nelle sue innocue stravaganze, — Maestro Pane segava le assi, e parlava fra sè a voce alta, — Efes passava barcollando, — Nanna lo seguiva, — i bambini laceri giocavano coi cani, i gatti, le galline, i porcetti, — le donnicciuole si bisticciavano, — i giovanotti cantavano cori melanconici nelle notti serene illuminate dalla luna, — il lamento di Rebecca vibrava nell’aria simile al canto del cuculo nella tristezza d’un paesaggio desolato.

Come appare il sole in uno squarcio improvviso di cielo velato, qualche volta appariva nel misero vicinato ove Anania viveva, la florida figura del signor Carboni. Le donne uscivano sulla porta per salutarlo e sorridergli; gli uomini disoccupati, sdraiati indolentemente al sole, balzavano in piedi arrossendo; i bambini gli correvano dietro, baciandogli le mani ch’egli teneva bonariamente intrecciate dietro la schiena.

Durante un rigido inverno di carestia egli