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46 | cattive compagnie |
— Perchè vivere? — pensava. — Ho vent'anni e sono povero, anemico, infelice. Non ho ingegno, nè volontà, nè fortuna. Una volta ho scritto una novella, ma il giornale a cui l’ho mandata me l’ha respinta senz’altro. Non ho mai avuto neppure la soddisfazione di avere un bel vestito nero. La mia famiglia è così povera che ha fatto sacrifizi enormi perchè io potessi nientemeno frequentare le scuole normali. Sono maestro, ora, e finito il servizio militare mi aspetta davvero un “brillante avvenire„. E moriamo, dunque!
Egli diceva a sè stesso: “e moriamo dunque!„ come si dice: “e andiamocene„ quando si vuol lasciare un luogo ove ci si annoia.
Eppure non era ambizioso nè orgoglioso, Serafino; buono in fondo e mansueto come uno di quei gattini maltrattati da bambini crudeli, aveva un ultimo sogno: compiere, prima di morire, qualche atto di coraggio, o almeno dare alla sua morte volontaria un’apparenza di sacrifizio.
Però sognava anche d’innamorarsi d’una signorina bella e ricchissima o d’una grande artista maritata e onesta. Queste signore lo riamavano; ma tutti gli ostacoli del genere sorgevano fra lui e loro. Allora egli si suicidava. Avrebbe voluto innamorarsi di quelle signore,