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184 cattive compagnie


— Oh no, oh no! — esclamava la finta mendicante, raccogliendo la sua bisaccia. — Andiamocene, andiamocene, ziu Tòmas. Partiamo. Non voglio più restare.

— Figlia del cuor mio, io non posso partire: ho un affare....

Ella insistè, ma egli non volle muoversi.

— D’altronde, chi sa se ti ha riconosciuto? Per una volta che t’ha veduto.

— Ebbene, no, sentite, — confessò Liedda, — egli mi conosce molto bene. Egli si chiama dottor Suelzu: era amico di mio marito e conosce tutti i miei parenti. Se loro sapessero quello che io faccio, ora, mi lapiderebbero. Ed egli andrà certamente ad accusarmi: è uomo da farlo: un mezzo matto.

— Ma no, cristiana! Ti dico che, trattandosi di un voto, è anzi cosa meritoria. Senti, una volta ho sentito raccontare da un militare che è stato in continente, che le signore di là, le più ricche, fanno certe feste, dove va molta gente: e loro, quelle riccone, domandano l’elemosina, e poi, con quel denaro, fanno molte opere buone. È la stessa cosa.

— Oh no, oh no! È altro, è altro! — mormorava Liedda.

Ma infine si calmò e cominciò a parlar male del misterioso dottore.