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126 | cattive compagnie |
Miale abbassò la testa, sospirò e disse con tristezza:
— Io? Io non penso alle ricchezze, zio Ballo, sono i parenti che ci pensano!
— Diavolo, questo non t’impedisce di sposare una donna ricca, — osservò il Sindaco.
Ballòra raccolse il fuso, riattaccò il filo e riprese a filare. Era diventata pallidissima e il suo fuso tremolava lievemente, invece di scendere e salire rapido e sicuro come prima.
— Sposare, — disse il nuorese, guardandola — si fa presto a dirlo. Chissà? Il nostro destino è nelle mani di Dio, come il fuso è nelle mani di quella fanciulla.
— Speriamo non gli cada di mano, però, — rispose il Sindaco ridendo.
— Franchisca, portaci da bere. Tu vorrai del vino, non del miele, credo! — disse poi zio Ballòre, volendo distrarre Miale Ghisu che era diventato triste.
La donna portò il vino: zio Ballòre cominciò a raccontare storielle, le donne ripresero i loro fusi, i ragazzi s’avvicinarono al fuoco, Ballòra e il nuorese continuarono a guardarsi. E il Sindaco fingeva di non accorgersene, ma ogni tanto, contro la sua abitudine, diceva parole dispettose.