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vani. Sì, divertitevi, amatevi: alla festa si va per questo e la festa passa presto....


Seduto all’ombra del muro cominciò a intagliare lo spiedo: le donne ridevano intorno a lui. Giacinto come sempre taceva e pareva intento alla voce della fisarmonica che riempiva di lamenti e di grida il cortile. Ma arrivò Natòlia, dondolando i fianchi.

— Il mio padrone e don Predu invitano don Giacintino a pranzo.

Ed egli si alzò, dopo aver sbattuto bene l’orlo dei calzoni. Donna Ester lo seguì con gli occhi e guardò a lungo verso il belvedere, come affascinata dal luccichio dei bicchieri e del vassoio d’argento che Natòlia agitava lassù come uno specchio; l’idea che il cugino ricco facesse caso del nipote povero bastava per renderla felice.

Le donne lodavano Giacinto, e l’usuraia traendo il filo tra il pollice e l’indice e girando il fuso sul ginocchio, diceva con dolcezza insolita:

— Un ragazzo così docile non l’avevo mai conosciuto. E bello, poi! Rassomiglia al Barone antico....

— A chi? Al Barone morto che vive ancora nel castello?

Ma donna Ruth si mise l’unghia dell’indice sulla bocca: non bisognava parlar di morti, alla festa.