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sciava il pensiero lucido e puro come quel gran cielo di primavera. Eppure, di tanto in tanto, donna Ester aveva come un brivido di rimorso, un pensiero segreto quasi colpevole. Giacintino.... la lettera scritta di nascosto....
Accanto a loro, seduta per terra con le spalle al muro e le braccia intorno alle ginocchia, Grixenda rideva guardando il ragazzo che suonava la fisarmonica. Nella capanna attigua le parenti con cui ella era venuta alla festa cenavano sedute per terra attorno ad una bertula1 stesa come tovaglia, e mentre una di esse cullava un bambino che s’addormentava agitando le manine molli, l’altra chiamava la fanciulla.
— Grixenda, fiore, vieni, prendi almeno un pezzo di focaccia! Cosa dirà tua nonna? Che t’abbiamo lasciato morir di fame?
— Grixenda, non senti che ti chiamano? Obbedisci, — disse donna Ester.
— Ah, donna Ester mia! Non ho fame.... che di ballare!
— Zuannantò! Vieni a mangiare? Non vedi che il tuo suono è come il vento? Fa scappar la gente.
— Aspetta che le otri siano piene e vedrai! — disse l’usuraia, uscendo sulla porticina a destra delle dame Pintor e pulendosi i denti con l’unghia.
- ↑ Bisaccia.