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le dicevo: — Sposatevi, zia Noemi; zio Pietro è ricco, vi ama, vi renderà felice. — Essa mi guardava con disprezzo, ed io capivo bene che non si sarebbe decisa mai. Allora Efix, senti, — parliamo piano, non stia ad ascoltare, — ebbene, ricordai il tuo consiglio. La guardai bene negli occhi e le dissi: — zia Noemi, io sposerò Grixenda, perchè solo Grixenda, povera come me, giovane e sola come me, può essere la mia compagna. Allora Noemi si fece pallida come una morta; ebbi paura e me ne andai. Piangevo; te lo disse? Su, Efix, tu non mi ascolti. Su! Ecco zia Ester. Non è vero, zia Ester, che Efix finge d’esser malato per non venire alle nozze mie ed a quelle di zia Noemi per non farci il regalo? Eppure, dicono, denari ne hai portato, dal tuo viaggio....

Efix sentiva le parole e le capiva anche, ma erano senza suono, come parole scritte.

— Su, dimmi almeno cos’hai. Non mi racconti neppure dove sei stato. Rammenti quando sei venuto al Molino e ti chiesi dove andavi? E tu rispondesti: in un bel posto. Non rammenti? Apri gli occhi, guardami. Dove andavi?...

Efix ricominciò a provare fastidio: apri un momento gli occhi, li richiuse, gravi già del sonno della morte. E le parole di Giacinto si confondevano, di là del muricciuolo col fruscio delle canne, col ronzìo del vento che passa.