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mante in mano, mentre gli asciuga il sudore dal viso, cerca di imitare il suo grosso fidanzato.

— Su, bevi; che vuoi morire scapolo?

— Dunque, — disse Efix sollevando il capo ma rifiutando il brodo, — ce ne andiamo....

— Ma cosa dici? Vuoi andare di nuovo? Che girellone....

— Oh, uomo, che fai? Andiamo su da Stefana che t’ha serbato una melagrana.... Su, ragazzo!

Ma Efix rimise la testa giù e chiuse gli occhi, non perchè offeso dagli scherzi dei suoi padroni ma perchè si sentiva tanto lontano da loro, da tutti. Lontano, sempre più lontano, ma con un peso addosso, con un traino che non gli permetteva di andare avanti, di tornare indietro. Era peggio di quando si portava appresso i ciechi.

Finalmente arrivò il Dottore: lo palpò tutto, gli battè le nocche delle dita sul ventre duro come un tamburo, lo voltò, lo rivoltò, gli buttò addosso il panno come su un pane che fermenta.

— È il fegato che fa un brutto scherzo. Bisogna andare a letto, Efix.

Il malato sollevò l’indice, accennando di no.

— Tanto devo morire: mi lasci morire da servo.

— Davanti a Dio non ci sono nè servi nè padroni, — disse donna Ester; e don Predu