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Egli rideva: non era stato mai così felice. Ma in fondo, nella cucina scura, donna Ester e donna Noemi non si movevano dalla panca; ed ecco egli sentiva soggezione dell’una e paura dell’altra. Allora chiuse gli occhi e finse d’esser cieco anche lui. E andavano così tutti e tre, di qua e di là, su un terreno molle, cantando le laudi sacre dello Spirito Santo. Ma una mano afferrò per di dietro il suo cappotto e fermò il gruppo. Egli si buttò giù, sussultando, aprì gli occhi e vide donna Noemi davanti a lui, col lume in mano.

— Dormivi già, Efix? Abbi pazienza; ma Ester mi disse che te ne saresti andato domani mattina presto e son tornata giù.

Egli balzò a sedere sulla stuoia, ai piedi di lei ritta ferma grande col lume in mano. Un cerchio d’ombra con un anello di luce intorno, come egli aveva sognato, li circondava.

— Eppoi io volevo parlarti da solo, Efix. Ester non capisce, certe cose. E tu hai fatto male a chiacchierare con lei: anche tu non capisci.

Egli taceva. Capiva, sì, ma doveva tacere e fingere come uno schiavo.

— Tu non capisci e per ciò parli troppo, Efix! Se tu quel giorno avessi riferito solo l’ambasciata, senza darmi dei consigli, sarebbe stato meglio. Invece abbiamo detto molte cose inutili; adesso voglio sapere solamente se è vero che tu, proprio, non hai riferito nulla a Predu del nostro discorso.