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si univano alle cantilene gravi dei pellegrini. Passavano donne coi capelli neri sciolti giù per le spalle come veli di lutto; seguivano uomini a capo scoperto, con un cero in mano, scalzi, polverosi come arrivassero dall’altra estremità del mondo: tutti avevano gli occhi pieni di domande e di speranza.

E i cavalli pazienti salivano su per la strada carichi di gioia o di dolore: li cavalcavano giovani dal viso fiammante, gonfio di sangue, fanciulle pallide che nascondevano la passione come la brage sotto la cenere, e infermi, pazzi, indemoniati: tutti avevano gli occhi pieni di vita e di morte.

Efix s’era messo un po’ discosto dalla chiesa, in un posto ove non molta gente passava.

Il cieco non finiva di brontolare, fra una lamentazione e l’altra, e aveva un viso cupo, minaccioso.

Verso sera, — la raccolta era stata scarsa, — diede sfogo alla sua ira, accusando Efix di aver ammazzato l’altro compagno per liberarsene e tenersi i denari.

Efix sorrideva.

— Vieni, — disse, prendendolo per mano, e dopo aver camminato un poco: — senti?

Il cieco sentiva la voce dell’altro compagno, che lì davanti a loro domandava l’elemosina.

— Adesso non farete come l’altra volta, — disse Efix. — Se vi azzuffate e vi arrestano, io, in verità, me ne lavo le mani.