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Egli non si muove, non parla; e il vecchio se ne va, piano piano, su fra le macchie e le pietre, senza voltarsi, grande e nero sullo sfondo azzurro della montagna.
Solo quando non lo vide più s’accorse di non aver sognato, e balzò in piedi, ma gli parve che una mano lo tirasse giù costringendolo a sedersi di nuovo, a stare immobile. E a poco a poco alla sorpresa seguì un impeto di gioia, un desiderio di ridere: e rise, e tutto intorno il cielo si colorì di azzurro e di rosa, e le cinzie cantarono fra le macchie.
— Ecco, — egli pensava. — È Dio che mi ha liberato di uno de’ miei compagni. Oh che peso mi ha tolto!
Svegliò l’altro dicendogli dell’accaduto.
— Lo vedi? Efix, adesso sei convinto? Io lo sapevo, che fingeva. Non lo dissi subito? E tu te lo sei portato addietro, tu mi hai tormentato giorno e notte con lui. Adesso andremo a denunziarlo: lo cercheremo, gli pesteremo le ossa.
Efix sorrideva. Durante la festa fu quasi felice. Una folla com’egli non l’aveva ancora veduta riempiva la chiesa, il campo attorno, il sentiero che conduceva al paese. Una processione s’aggirava continuamente attorno al santuario, come un serpente rosso e bianco, giallo e nero: gli stendardi sventolavano simili a grandi farfalle, e canti corali, tintinnii di cavalli bardati per la corsa, grida di gioia