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gabbano rivoltata, lo sprone al piede, simile in tutto ai Baroni in pellegrinaggio quali il servo li aveva veduti dipinti in qualche antico quadro della Basilica.

Pregava assorto, ma quando Efix gli ebbe toccato lievemente il cappotto si volse dapprima sorpreso, poi violento, senza riconoscere il mendicante.

— Al diavolo! Neanche qui lasciate in pace?

— Don Predu, padrone mio! Sono Efix, non mi riconosce?

Don Predu balzò sollevando le falde del gabbano quasi volesse abbracciare il suo servo: e si guardarono come due vecchi amici.

— Ebbene, ebbene?

— Ebbene?

— Sì, — disse don Predu riprendendosi per il primo, — Giacinto mi ha raccontato le tue prodezze, babbeo. E dunque, ti sei messo a fare un mestiere facile, poltronaccio! Bel mestiere, sì! Ecco, prendi!

Gli porse una moneta, ma Efix lo guardava negli occhi coi suoi occhi di cane fedele e sospirava senza offendersi.

— Don Predu, padrone mio, mi dia notizie delle mie dame.

— Le tue dame? Chi le vede? Stanno chiuse nella loro tana come faine.

— E Giacinto?

— L’ho veduto a Nuoro, quel morto di fame. Perchè non l’hai preso con te a chie-