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qualcuna gli era nota, e infatti d’improvviso si piegò chiudendo gli occhi come i bambini quando vogliono nascondersi.

Un uomo un po’ abbandonato sopra un cavallo nero saliva lentamente, tutto ricoperto da un gabbano d’orbace foderato di scarlatto. Il vento sollevava le falde di questa specie di mantello spagnuolo e lasciava vedere la bisaccia ricamata e le grosse gambe del cavaliere con gli sproni lucidi come d’argento. Il cappuccio ombreggiava un viso bonario e sarcastico che si volse ai mendicanti e sogghignò lievemente mentre la mano gettava alcune monete.

Efix riaprì gli occhi e piano piano si sollevò.

— Sai chi è quello? — disse al cieco giovane. — È il mio padrone!

Cessata la pioggia i tre compagni ripresero a salire, silenziosi, curvi, come cercando qualche cosa smarrita nel sentiero; le nuvole correvano sopra le roccie e le macchie e gli alberi si contorcevano al vento, folli dal desiderio di staccarsi dalla terra e seguirle: il tuono rombava ancora, tutto era grande di agitazione e d’angoscia, ed Efix si sentiva preso dal turbine come una foglia secca.


Presero posto accanto ad una delle croci che segnano il sentiero.

Il vento passava impetuoso, ma sul tardi il sole apparve fra le nubi squarciandole e