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come fiori duri e sonanti. C’erano due giovani nuoresi bellissimi che per farsi notare dalle fanciulle cominciarono a buttar soldi al cieco, mirando da lontano al petto, e ridendo ogni volta che colpivano giusto. Poi s’avvicinarono e presero di mira Efix, divertendosi come al bersaglio. Efix trasaliva tutto ad ogni colpo e gli pareva lo lapidassero, ma raccoglieva le monete con una certa avidità, e in ultimo, finito il giuoco, di nuovo si pentì e si vergognò.

Intanto le donne preparavano il pranzo. Avevano acceso il fuoco sotto un albero solitario e il fumo si confondeva con la nebbia. La macchia dei loro corsetti rossi spiccava fra il grigio più viva della fiamma. Non c’erano nè canti nè suoni, in questa piccola festa che ad Efix pareva una riunione di banditi e di pastori radunatisi là per il desiderio di rivedere le loro donne e di ascoltare la santa messa.

A mezzogiorno tutti si riunirono sotto l’albero, intorno al fuoco, e il prete sedette in mezzo a loro. Il tempo si schiariva, un raggio dorato di sole allo zenit filtrava attraverso le nuvole e cadeva dritto sopra l’albero del banchetto: e sotto, i pastori seduti per terra, le donne coi canestri in mano, il sacerdote con una bisaccia gittata sulle spalle a modo di scialle per ripararsi dall’umido, i fanciulli ridenti, i cani che scuotevano la coda