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lati. Chiamò, ma Efix gli fece solo un segno di addio senza voltarsi.

Appena fuori del paese cominciarono le questioni, perchè il cieco sebbene avesse la bisaccia colma di roba, voleva chiedere l’elemosina ai passanti, mentre Efix osservava:

— Perchè chiedere, se ce ne abbiamo?

— E domani? Tu non pensi al domani? E che mendicante sei tu? Si vede che sei nuovo.

Allora Efix s’accorse che non voleva chiedere perchè si vergognava, e arrossì della sua vergogna.

Il tempo s’era fatto cattivo. Verso sera cominciò a piovere e i due compagni s’avvicinarono a una capanna di pastori; ma dentro non li vollero, e dovettero ripararsi sotto una tettoia di frasche a fianco della mandria. I cani abbaiavano, un velo triste circondava tutta la pianura umida, e la pioggia e il vento smorzavano il fuocherello che Efix tentava di accendere.

Il cieco restava impassibile, fermo sotto la sua maschera dolorosa. Seduto, — non si coricava mai, — con le braccia intorno alle ginocchia, coi grandi denti gialli lucidi al riflesso del fuoco, le palpebre violette abbassate, continuava a raccontare le sue storie.

— Tu devi sapere che tredici anni belli e lunghi occorsero per fabbricare la casa del Re Salomone. Era in un bosco chiamato il