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scavava, silenzioso, tirava, tirava su, come un macigno da un pozzo. Finalmente si sollevò sospirando, stanco e impotente.

— Giacinto, così ti dico. Le cose del mondo son così. Don Predu vuole sposare donna Noemi e donna Noemi non lo vuole. Colpa tua!

Giacinto non rispose, ma gli afferrò forte il braccio e parve volesse stroncarglielo: poi glielo lasciò.

Efix lo sentiva ansare lievemente, come colto da malessere, e a sua volta, mentre si stringeva il braccio che gli ardeva per la stretta, respirò con angoscia.

— Sì, colpa tua, colpa tua, — ricominciò quasi aggressivo. — Non lo sapevi? Alla buon’ora! La vecchia almeno questo non te lo ha detto. Ma adesso bisogna pensarci sul serio. Bisogna toglierle questo verme dal cervello, a tua zia, intendi? Intendi?

— Che posso farci io? — disse finalmente Giacinto. E parve ricadere di nuovo nella sua antica tristezza. Curvo su sè stesso nell’ombra guardava la terra ai suoi piedi e vedeva un abisso nero.

— Che puoi farci? Lo sai, te l’ho detto: comincia tu a fare il tuo dovere: poi lei farà il suo....

— Che posso fare, che posso io? Tu credi che siamo noi a fare la sorte? Ricòrdati quello che dicevamo laggiù al poderetto: te lo ricordi? E tu, sei stato tu, a fare la sorte?