Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 210 — |
finalmente, e Giacinto gli accostò la sua forchetta al viso quasi volesse pungerlo.
— Va, uccello di malaugurio! Lo sapevo che portavi la notizia di una morte! E altro?
— E Grixenda si prepara a lasciarci. Te la vedrai capitare qui fra qualche giorno: ecco, questo son venuto a dirti.
Giacinto rifece il viso infantile di un tempo, triste e spaventato.
— Ah, questo no, questo no! Io non voglio che venga!
— Non vuoi? E come puoi impedirglielo?
D’altronde è tua fidanzata: hai promesso di sposarla.
— Io non posso sposarla: vero, vero che non posso, Micheli? Non posso e non voglio! Non sono in condizioni di sposarmi: sono un pezzente, ho altri doveri, tu lo sai. Ebbene, posso parlare davanti a quest’uomo, che sa tutto di me, come lo sai tu, e mi compatisce. Io devo pagare il debito delle zie. È per questo che volevo morire: perchè avevo la disperazione nel cuore. Ma quest’uomo mi disse: ti terrò gratis in casa mia, ti darò alloggio e anche da mangiare quando ne ho, ma tu devi lavorare e pagare il tuo debito.
Efix guardava l’ometto tra il meravigliato e il diffidente e pareva chiedergli con gli occhi «perchè tanta generosità?» E l’uomo, che mangiava col viso curvo sul piatto, sollevò gli occhi e disse: