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— Dove sta don Giacinto?
— Chi? Quello del Molino? Qui, più sopra: cosa gli porti in quella bisaccia? Sei il suo servo?
— Sì: e che fa, don Giacinto?
— Eh, lavora e si diverte. È allegro. È un ragazzo d’oro. Tutte le donne gli vanno appresso.... se lo contrastano come un dolce di miele....
Allora Efix ricordò la festa del Rimedio, Natòlia e Grixenda che ballavano stringendosi in mezzo lo straniero; e un dolore cocente lo punse, ma col dolore un intenso desiderio di fare qualche cosa contro il destino.
— Ma dove posso trovarlo? È al Molino, adesso?
— Ecco che viene!
Ecco infatti Giacinto arriva frettoloso, a testa nuda, coi capelli e i vestiti bianchi di farina: già qualcuno era corso ad avvertirlo dell’arrivo del servo.
— Che cosa sei venuto a cercare fin quassù? — gli domandò, afferrandolo e scuotendolo per gli omeri.
Efix lo guardava senza rispondere lasciandosi trascinare su per la straducola fino a un cortiletto chiuso fra due casette sopra la valle: un uomo, un borghese piccolo quasi nano, con gli occhi grandi melanconici e il viso bianco, attingeva acqua dal pozzo e Giacinto lo presentò come il suo padrone di casa.