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derai un’ambasciata per chiedermi di diventar mia serva.

— Chi devi sposare? Il Barone del Castello?

— Sposerò un vivo, non un morto, i morti ti si attacchino ai fianchi!

— Mi pare sii stata tu a stregare don Predu.

— Se lo voglio, sposo anche don Predu, — disse Grixenda sollevando fieramente il viso tragico e infantile, — ma ho altri pensieri in mente, io!

Natòlia la guardava e ne sentiva pietà: le sembrava un po’ fuori di sè, l’infelice, e non insistè quindi nel tormentarla. Prese un altro biscotto e andò a offrirlo a zia Pottoi nel suo buco. Una striscia di luce pioveva dal tetto della stanzetta terrena, illuminando il letto ove la vecchia giaceva vestita e con la collana e con gli orecchini, stecchita e immobile come un cadavere abbigliato per la sepoltura.

Credendola addormentata Natòlia le sfiorò la mano che scottava; ma la vecchia l’attirò a sè dicendole sottovoce:

— Senti, Natòlia, mi farai un piacere: va da Efix Maronzu e digli che devo parlargli: ma che non lo sappia Grixenda: va, piccola tortora, va!

— E dove lo trovo io, Efix? Sarà in paese?

— Egli vien su dal poderetto: lo vedo venir su, — disse la vecchia, mettendosi un dito sulle labbra, perchè Grixenda entrava col caffè.