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vecchiano, — sentenziò Stefana; ma entrambe sentivano qualche cosa di nuovo, di grave, pendere sul loro destino di serve senza padrona.
Intanto don Predu accompagnava Efix, su, su, per la straducola lavata dalle ultime pioggie.
L’erba rinasceva lungo i muri delle case deserte. Un silenzio dolce profondo avvolgeva tutte le cose; nuvole gialle si affacciavano stupite sul Monte umido, e dall’alto del paese, davanti al portone delle dame, si vedeva la pianura coperta di giunchi dorati, e il fiume verde fra isole di sabbia bianca. Il silenzio era tale che s’udivano le donne a sbattere i panni laggiù, sotto il pino solitario della riva. La vecchia Pottoi ferma sulla sua soglia guardava, con una mano appoggiata al muro e l’altra sopra gli occhi: sembrava decrepita, piccola, con i gioielli ancora più vistosi e lugubri sul suo corpo ischeletrito.
— Che fate? — salutò don Predu.
— Aspetto Grixenda mia ch’è andata al fiume. Io non volevo, a dire il vero, perchè il ragazzo, il nipote di vossignoria, glielo ha proibito, e se viene a saperlo si offende; ma Grixenda mia fa sempre di sua testa.
— Che, vi ha scritto. Giacinto?
— A chi? Scritto? Mai, ha scritto: non si sa nulla, di lui, ma deve tornare certo, perchè l’ha promesso.