Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/182


— 174 —

Efix però respinse il bicchiere con un gesto di orrore. Mai più bere, mai più vizi! Da due mesi digiunava e talvolta quando aveva sete non beveva per penitenza. Sedette rassegnato tornando a guardarsi le mani; e don Predu, mentre vigilava verso il cortile perchè le serve non origliassero, gli domandò a mezza voce:

— Dimmi come vanno gli affari delle mie cugine.

Efix sollevò, riabbassò tosto gli occhi; un rossore fosco gli colorì il viso che pareva arso scarnificato con la sola pelle aderente al teschio.

— Le mie padrone non hanno più confidenza in me e non mi dicono più tutti i loro affari. È giusto. A che dirmeli? Io sono il servo.

Corfù ’e mazza a conca, pagarti però non ti pagano! Di quest’affare almeno dovrebbero intrattenerti. Quanto ti devono?

— Non parliamone, don Predu mio! Non mi mortifichi.

— Ti mortifichi pure, babbeo! Ebbene senti. Anch’io vado qualche volta da quelle donne ma non è possibile cavar loro nulla di corpo. Ester, forse, parlerebbe; ma c’è Noemi dura come una suola. La prima sera, quando accadde la disgrazia di Ruth e io passavo là per caso, solo quella sera si confidò. Sfido, perdio, era l’ora della disperazione. Ma dopo ritornò ostile: quando vado là mi accoglie bene,