Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/180


— 172 —

anziana, che filava seduta presso la porta, — hai le febbri?

— Mi rosicchiano le ossa, mi scarnificano, sia per l’amor di Dio, — egli sospirò, guardandosi le mani nere tremanti.

— Le tue padrone stanno bene? Non si vedono più neppure in chiesa.

— Neppure in chiesa vanno, dopo la disgrazia.

— E don Giacinto non torna?

— Non torna. Ha un posto a Nuoro.

— Sì, il mio padrone l’ha veduto, ultimamente. Ma pare non sia un posto molto di lusso.

— Basta vivere, Stefana! — ammonì Efix, senza sollevare la testa. — Basta vivere senza peccare.

— Questo è il difficile, anima mia! Come guadare il fiume senza bagnarsi?

— Passando sul ponte, — disse l’altra serva dal cortile curva a sbucciare un mucchio di mandorle: poi domandò: — E Grixenda, allora? Anche lei porta il lutto e non esce più.

Efix non rispose.

— E don Predu, adesso, viene da voi?

— Io non lo so: io sono sempre laggiù, al poderetto.

Le donne ardevano di curiosità, perchè da qualche tempo il padrone mandava regali alle cugine e pur beffandosi di loro non permetteva che altri ne parlasse male in sua