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sera che aveva portato il cestino, dalla sera in cui Giacinto gli aveva detto «tu accumuli le tue monete come le tue fave, per darle ai porci» sentiva un vuoto dentro, un male strano, quasi lo straniero gli avesse comunicato il suo, e pensando alle cugine provava una pietà insolita. Vide che Noemi tremava e anche lui appoggiò la mano al muro accanto a quella di lei. I loro volti eran vicini; quello di lui aveva un odore maschio, di sudore, di pelle bruciata dal sole, di vino e di tabacco, quello di lei un profumo di chiuso, di spigo e di lagrime.

— Noemi, — disse rozzo e timido, levandosi il cappello e poi rimettendoselo, — se avete bisogno di me ditemelo. Che è successo?

Noemi non rispose: non poteva parlare.

— Che è successo? — egli ripetè forte.

— Siamo rovinate, Predu.... — ella disse infine, e le sembrava di parlare contro sua volontà. — Siamo morte. Giacinto ha falsificato la firma di Ester.... E l’usuraia ha protestato la cambiale....

— Ah, boia! — gridò don Predu, dando un pugno al muro.

Noemi ebbe paura di quel grido e il sentimento del decoro la richiamò in sè. Le parve che i vicini si affacciassero ad ascoltare la sua miseria.

— Vieni dentro, Predu: ti racconterò tutto.