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ardeva ancora, come se tutto lo splendore del giorno si fosse raccolto lassù. Ella s’ostinava a cucire ma non vedeva nè la tela nè l’ago: solo quel grande chiarore, quel miraggio senza confini, profondo, infinito. Le sembrava di sentire la serenata del fanciullo, e versi d’amore passavano nell’aria ardente del crepuscolo. Di nuovo si rivedeva sul rozzo belvedere del prete, laggiù alla chiesa del Rimedio; nel cortile ardeva il falò e la festa ferveva. Ma a un tratto anche lei scendeva per unirsi alla catena delle donne danzanti; anche lei prendeva parte alla festa: era la più folle di tutte: era come Grixenda e come Natòlia e sentiva entro il suo cuore l’ardore, la dolcezza, la passione di tutte quelle donne unite assieme. Giacinto le stringeva la mano e la festa intorno, nel cortile, nel mondo, era per loro....


Ma a poco a poco si svegliò. Le parve che il fuoco si spegnesse e il sangue cessasse di batter violento nelle sue vene. Ebbe vergogna dei suoi sogni. Ricordò la promessa alla vecchia: «tutto andrà bene». Allora cercò le parole da dire al nipote per convincerlo a mettersi nella buona via ed a sposare Grixenda. Ch’essi sian felici! Ella li amava tutti e due, adesso, la donna perchè col suo amore formava una parte stessa dell’uomo; che siano felici nella loro povertà e nel loro amore, nel