Pagina:Deledda - Canne al vento, Milano, 1913.djvu/150


— 142 —

Quel giorno era sola. Donna Ester e donna Ruth avevano accettato l’invito del Rettore di far parte del comitato d’una festa; Giacinto era ad Oliena ad acquistar vino per conto del Milese. Sì, ridotto a questo: a fare il servo ad uno ch’era stato mercante girovago. Noemi lo disprezzava, non gli rivolgeva la parola, ma quando era sola lo rivedeva curvo su lei a bagnarle il viso con l’aceto e con le sue lagrime, e la voce tremante di lui, le sue parole: — Zia Noemi mia mia, perchè perchè questo? — e gli occhi di lui tristi e ardenti come quel cielo d’estate non le uscivano di mente.

Le sembrava di sentire sulle labbra il sapore delle lagrime di lui, — ed era il sapore di tutta la tristezza, di tutta la debolezza umana: allora la solita immagine di lui nei suoi varii aspetti giornalieri, di lui annoiato, spostato, avvilito, di lui contro cui non si poteva combattere perchè dava l’impressione d’un masso precipitato dal monte a rovinar la casa, spariva per lasciar posto all’immagine di lui buono, pentito, appassionato.

Questa immagine, sì, Noemi la amava; e a volte la sentiva così viva e reale accanto a lei che arrossiva e piangeva come assalita da un amante penetrato di nascosto nel cortile.

La sua anima allora vibrava tutta di passione; un turbine di desiderio la investiva