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Efix la guarda, la guarda, e gli sembra di ricordare una vita anteriore, remotissima, e gli sembra ch’ella gli accenni di accostarsi, di aiutarla a scendere, di seguirla....

Chiuse gli occhi. La testa gli tremava. Gli pareva di camminare con lei sulla sabbia lungo il fiume, sotto la luna: andavano, andavano, silenziosi cauti; arrivavano allo stradone accanto al ponte. Laggiù la sua visione si confondeva. C’era un carro su cui Lia sedeva, nascosta in mezzo a sacchi di scorza. Il carro spariva nella notte, ma sul ponte, sotto la luna, rimaneva don Zame morto, steso sulla polvere, con una macchia gonfia violetta come un acino d’uva sulla nuca. Efix s’inginocchiava presso il cadavere e lo scuoteva. « — Don Zame, padrone mio, su, su! Le sue figliuole l’aspettano.»

Don Zame restava immobile.

E singhiozzò così forte che la guardiana s’accostò a lui con la scopa.

— Efix, che hai? Stai male?

Egli spalancò gli occhi spauriti e gli parve di vedere ancora Kallina col palo che gli gridava: «Assassino!»

— Ho la febbre.... mi par di morire. Vorrei confessarmi....

— E vieni proprio qui? Se non ti confessi col Cristo! — mormorò la guardiana sorridendo ironica; ma Efix appoggiò di nuovo la fronte alla colonna del pulpito e con gli occhi