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vano all’ombra della capanna e nessuno veniva a prenderli.

Ogni sera don Predu, che possedeva grandi poderi verso il mare, passava di ritorno al paese, e se vedeva il servo tendeva l’indice verso la terra delle sue cugine e poi si toccava il petto per significare che aspettava l’espropriazione e il possesso del poderetto; ma Efix, abituato a quella mimica, salutava, e a sua volta accennava di no, di no, con la mano e con la testa.

Dopo la confessione di Giacinto s’inquietava però vedendo don Predu; gli sembrava più beffardo del solito.

Una sera aspettò accanto alla siepe, e gli chiese:

— Don Predu, mi dica, ha veduto il mio padroncino? L’altra sera venne qui che aveva la febbre e adesso sto in pensiero per lui.

Don Predu rise, dall’alto del cavallo, col suo riso forzato a bocca chiusa a guancie gonfie.

— Ieri sera l’ho veduto a giocare dal Milese. E perdeva, anche!

— Perdeva! — ripetè Efix smarrito.

— Come lo dici! Vuoi che vinca sempre?

— A me disse che non giocava mai....

— E tu lo credi? Non dice una verità neanche se gli dai una fucilata. Ma non è cattivo: dice le bugie, così, perchè gli sembran verità, come i bambini.