Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 111 — |
vano all’ombra della capanna e nessuno veniva a prenderli.
Ogni sera don Predu, che possedeva grandi poderi verso il mare, passava di ritorno al paese, e se vedeva il servo tendeva l’indice verso la terra delle sue cugine e poi si toccava il petto per significare che aspettava l’espropriazione e il possesso del poderetto; ma Efix, abituato a quella mimica, salutava, e a sua volta accennava di no, di no, con la mano e con la testa.
Dopo la confessione di Giacinto s’inquietava però vedendo don Predu; gli sembrava più beffardo del solito.
Una sera aspettò accanto alla siepe, e gli chiese:
— Don Predu, mi dica, ha veduto il mio padroncino? L’altra sera venne qui che aveva la febbre e adesso sto in pensiero per lui.
Don Predu rise, dall’alto del cavallo, col suo riso forzato a bocca chiusa a guancie gonfie.
— Ieri sera l’ho veduto a giocare dal Milese. E perdeva, anche!
— Perdeva! — ripetè Efix smarrito.
— Come lo dici! Vuoi che vinca sempre?
— A me disse che non giocava mai....
— E tu lo credi? Non dice una verità neanche se gli dai una fucilata. Ma non è cattivo: dice le bugie, così, perchè gli sembran verità, come i bambini.