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tarle nè per vivere alle loro spalle. Ah, ma zia Noemi è terribile! — egli gemette a un tratto, nascondendosi il viso fra le mani. — Ah, Efix, sono così amareggiato! Eppoi mi fa tanta vergogna vederle così misere; vederle vender di nascosto le patate, le pere e i pomi ai bambini che entrano piano piano nel cortile, col soldo nel pugno, e domandano la roba sottovoce quasi si tratti di cosa rubata! Mi vergogno, sì! Questo deve cessare. Esse torneranno quello che erano, se mi lasceranno fare. Se zia Noemi sapesse il bene che le voglio non farebbe così....
— Giacinto! Dammi la mano: sei bravo! — disse Efix commosso.
Tacquero, poi Giacinto riprese a parlare con una voce tenue, dolce, che vibrava nel silenzio lunare come una voce infantile.
— Efix, tu sei buono. Ti voglio raccontare una cosa accaduta ad un mio amico. Era impiegato con me alla Dogana. Un giorno un ricco capitano di porto in ritiro, un buon signore grosso ma ingenuo come un bambino, venne per fare un pagamento. Il mio amico dice: Lasci i denari e torni più tardi per la ricevuta che dev’essere firmata dal superiore. Il capitano lasciò i denari; il mio amico li prese, andò fuori, li giocò e li perdette. E quando il capitano tornò, il mio amico disse che non aveva ricevuto nulla! Quello protestò, andò dai superiori; ma non aveva la